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PROGETTO IMPROVING

Moduli C - La sicurezza

I principi giuridici di sicurezza sul lavoro

Costituzione Italiana

 

Art. 32.

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

 

Art. 41.

L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

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Il Codice Civile

 

Art. 2087.

Trascorso della legge italiana in materia di sicurezza degli ambienti di lavoro.

Il Codice Civile del 1942 prende in considerazione, per la prima volta ed in termini assolutamente nuovi, il problema della sicurezza del lavoro, con l’introduzione di una Norma fondamentale espressa dall’art. 2087.

Tale articolo prevede l’obbligo per l’imprenditore di adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Viene così già fin d’allora configurato, sebbene sotto l’esclusivo profilo legislativo, il “dovere di sicurezza” che, in seguito, con la promulgazione della nuova Carta Costituzionale, ne diviene uno dei principi fondamentali del Diritto del Lavoro.

 

L’art. 2087 c.c. detta un principio generale:

“L’imprenditore è tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”: il datore di lavoro, proprio perchè esercita un’attività economica, deve perciò garantire l’adozione di tutti i sistemi in possesso della tecnica atti a prevenire e proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori nonchè a salvaguardare la personalità morale degli stessi.
La giurisprudenza è orientata a riconoscere inadempiente agli obblighi in materia di igiene e sicurezza del lavoro il datore di lavoro che, pur avendo osservato tutte le specifiche disposizioni in merito, non sia riuscito a tutelare idoneamente l’integrità fisica dei lavoratori.

Secondo quanto prescritto dall’art. 1176 c.c., il datore di lavoro deve comportarsi con la diligenza necessaria, così espressa:

“Nell’adempimento dell’obbligo inerente all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

Al datore di lavoro viene richiesta una particolare accuratezza sia nell’individuazione dei fattori di pericolo, sia nella scelta delle misure di prevenzione necessarie a tutelare l’integrità fisica del lavoratore, anche se non specificamente previste da norme di prevenzione o da altre prescrizioni di organi competenti.

Il precetto amplia notevolmente il dovere di sicurezza del datore di lavoro, in quanto tale dovere non è più fissato da regole precise e statiche che inevitabilmente col tempo verrebbero superate, ma da princìpi che devono essere continuamente aggiornati, tenendo conto dei tre criteri scaturiti dall’art. 2087:

-        la particolarità del lavoro;

-        l’esperienza;

-        la tecnica.

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Il Codice Penale

 

Art. 437 e 451

L’orientamento del legislatore si muove su due linee di comportamenti repressivi: la prima riguarda le carenze in materia di igiene e sicurezza che hanno già determinato infortuni e malattie professionali; mentre la seconda si preoccupa di prevenire le situazioni e i comportamenti che possono mettere in pericolo il bene della salute e della sicurezza.

Il carattere “preventivo” è espresso chiaramente dall’art. 437 C.P. che recita:

“Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni”.

Il presupposto perché scattino le pene sopra indicate è il dolo, cioè il provocare una situazione di pericolo volontariamente, in piena consapevolezza. Non sono sufficienti la trascuratezza e l’ignoranza, cioè la negligenza, l’imprudenza e l’imperizia requisiti essenziali dell’atto colposo; occorrono la piena consapevolezza e la volontà di non installare oppure di rimuovere misure di sicurezza.

Di entità diversa è la sanzione dell’omissione per colpa prevista dell’art. 451 C.P., che recita:

“Chiunque, per colpa, omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi destinati all’estinzione di un incendio, o al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire quarantamila a duecentomila”.

Le norme T.U. sicurezza costituiscono un punto di forza per dimostrare l’assenza della colpa da parte del datore di lavoro qualora si verifichi un evento dannoso. In effetti, l’onere della prova nel dimostrare che è stato fatto tutto il possibile per evitare l’accadimento lesivo è in capo al datore, che nel caso in cui, abbia applicato correttamente le norme in materia di salute e sicurezza possiede una serie di elementi oggettivi per provare la sua imputabilità.

 

Art. 589 ([1])

Omicidio colposo.

Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.

Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:

-        soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;

-        soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.

 

Art. 590

Lesioni personali colpose.

Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.

Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239.

Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni. Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi e’ della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime e’ della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni[2].

Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.

 

 

 

 

[1] Articolo così modificato dal Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92

 

[2] Comma così modificato dal Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92

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